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Il contributo dell’architettura per la ridefinizione dell’Accademia e di Brera

2012-12-01 Guest speaker at the international convention Per Brera Sito UNESCO, First International Meeting on “Ancient-Contemporary Dialogue inside the Common Heritage of Humanity” candidate for UNESCO Chair (Accademia di Brera, 2012-11-29 – 12-01) Communication title : “Il contributo dell’architettura per la ridefinizione dell’Accademia e di Brera”. The below text (2013-09-11) for the symposium was retracted :
Terzo Reich, capitalismo senile e diatriba "Grande Brera": appello per un concorso internazionale d’architettura per Brera Accademia+Pinacoteca.
Gregorio Carboni Maestri
Nel film documentario Architecture of Doom Peter Cohen compie un viaggio illuminante, in cui deostruisce l'ascesa del potere hitleriano sino alla Soluzione Finale, attraverso l’uso della cosiddetta “cultura nazista del bello”. Descrive in modo brillante il peso delle ossessioni estetiche hitleriane, espressioni dell’ideologia della piccola borghesia tedesca, che dettava le scelte del Nazismo.
Hitler fu un pittore fallito e un mancato architetto. La sua vera passione era l'architettura. Vi dedicò quasi ogni giorno della sua vita da Führer, disegnando progetti e piante, spesso molto precise, che discuteva con il suo architetto, Speer. Fin dall'inizio Hitler intervenne nelle scelte riguardanti uniformi, simboli, scelte cinematografiche, nonché nell'organizzazione di mostre sull'arte nazista e sulla riorganizzazione dei grandi musei nazionali. Ma, nel film di Cohen, l'idea diffusa di un Hitler e di una burocrazia nazista dotti e raffinati viene distrutta, senza manicheismi, sottolineando la profonda semplificazione delle loro scelte estetiche.
Momento culminante della politica culturale hitleriana fu l'organizzazione della mostra sull'Arte Degenerata contemporaneamente a quella sull'Arte Nazista. La prima metteva in evidenza aspetti, come degenerazione fisica e mentale, malattia, mancanza di igiene ecc., che avrebbero giustificato la politica antisemita di Hitler, avvallata da gran parte dell'intellighenzia tedesca. Al contrario, nelle molte mostre organizzate sull'arte tedesca vi erano rappresentate l’uomo ariano – uomini giovani, belli, muscolosi; donne forti, fertili; figli sani; famiglie unite –, arte caratterizzata soprattutto da una sorta di coerenza appiattita.
A ognuna di queste mostre Hitler acquistava quadri, che collezionava in modo ossessivo. Nell’osservare gli artisti, i pittori, i temi più amati da Hitler e dal nazismo, colpisce l'assenza di contraddizioni. Spesso l'arte “nazista” era di un tedio mortale. I paesaggi, amatissimi dal nazismo, ricordano molti dei desktop cari al capitalismo informatico: vallate incontaminate, Alpi, nuvole, campi fioriti, praterie. Evocano anche le foto kitsch che milioni di cibernauti postano su Facebook o mettono come poster-puzzle nelle cantine dove si gioca al Trivial Pursuit. Assomigliano a quell'arte del banale, del consenso, dell'ovvio che il capitalismo ha così ben utilizzato per vendere prodotti d'ogni tipo, inquinando la meta-cultura globale di un non-luogo estetico povero di senso e di forma.
Sconvolge il fatto che ad irritare Hitler più di ogni cosa era proprio il reale, il contraddittorio, l'odore, il vivo, il mortale, il non lineare, il non semplicistico, quel meraviglioso pantano che è la società. Le classi sociali, a maggior ragione se lavoratrici, erano assenti dall'arte nazista. L’essere umano ivi rappresentato era di tempi mai esistiti. I contadini erano così puliti da sembrare borghesi suburbani travestiti. E, in effetti, l'altro luogo apparentemente poco amato dall'estetica nazista era la città, luogo di rivoluzioni e confuse disquisizioni dialettiche. Lo spazio urbano nazista era piatto, simile a quei non-luoghi così amati dal capitalismo globale: de-storicizzato, turistico. Forse anche Mario Monti ama i paesaggi alpini perché lontani dal genere umano?
Nel film di Peter Cohen è sconvolgente l'orrore che il nazismo nutriva per la complessità, deformazione ideologica che si ritrova in molte dittature, compresa quella, silente e dalla mano invisibile, dell'attuale sistema di “democrazia” del capitalismo senile. Capitalismo che con Hitler si beneficiò del sistema schiavistico dei campi e che ora, in fase di acuta crisi, utilizza ogni mezzo per mantenere la sua necessità di profitto: corrompendo; organizzando strutture sovranazionali di stampo sempre più reazionario; imponendo fame e miseria ai paesi denominati da Goldman Sachs gli sporchi PORCI (P.I.G.S.), piegando milioni di umani alla schiavitù di un mercato criminale, che taglia i diritti sociali così duramente conquistati.
Questo capitalismo esasperato contemporaneo condivide con i nazisti il ripudio della contraddizione estetica e formale, della complessità sostanziale della cultura. Nella “città” ideale del capitalismo contemporaneo non vengono tollerate occupazioni né costruzioni di qualità nei quartieri poveri. Vi è un’ossessione per i centri direzionali e il massimo della sperimentazione è di un decostruttivismo patinato come quello di Zaha Hadid.
L'arte è ormai racchiusa in musei realizzati da Archi-Star di prestigio, con bookshops in vecchie fabbriche, dove tutto può rimanere tranne la memoria dei lavoratori che vi hanno depositato sudore e sangue. Il capitale deve permeare liberamente ogni ruga della città. La Storia va piegata a queste necessità: il tempo va fatto scomparire dagli edifici attraverso restauri che non rendano difficile la comprensione del turista medio.
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Brera è oggi una delle ultime istituzioni in Europa a conservare il prezioso binomio di un'accademia e una pinacoteca, nato assieme alla prima istituzione. Nel quartiere Brera, ormai “boutiquizzato”, gli studenti hanno portato emozioni, ribellioni, contaminazioni. Ancora oggi, sono l'ultimo elemento di umanità in un quartiere plastificatosi, pur rimanendo uno degli ultimi cuori pulsanti artistici del Centro. Eppure gli studenti fanno meno rumore e sporcano meno degli affaristi che, in sessant'anni di prosciugamento di risorse, hanno messo la città in ginocchio e si sono serviti dei beni del paese con la disinvoltura di un ladro di polli in un pollame.
Da anni ormai, la borghesia milanese desidera ripulire questo quartiere dagli elementi di disturbo, da questa accademia piena di professori comunisti, e sogna con una Grande Brera, una pinacoteca dalla razza pura. Si è posta come obiettivo di, prima dell'Expo 2015, compiere questa soluzione finale. A questo scopo era nata una squadra (cordata) di affaristi diretta dall'ex sindaco Moratti Letizia, miliardaria milanese. Una tale ipotesi fu comunque, prima di essere ritirata fra polemiche, appoggiata dall'assessore alla cultura Boeri.
L'accademia sarà così spostata in una caserma di periferia. Nella pinacoteca, i quadri di Mantegna, ogni volta che piove, devono essere spostati perché Monti non accetta di assegnare un milione per aggiustare il tetto, dopo aver tagliato 300 milioni alle università e dato altrettanti soldi, in più, alle scuole cattoliche. Non ci sono più soldi. Ma, per cacciare l'accademia, sí.
Quest’anno, il gruppo dei lavoratori dell'arte M^C^O ha orchestrato la meravigliosa occupazione di Palazzo Citterio, a pochi metri dall'edificio di Brera, comprato anni fa proprio per fare la Grande Brera, ma abbandonato da una ventina d’anni. Ora giace vuoto, con affreschi secolari lasciati putrefare. Ma, agli occhi di istituzioni e cordate varie, urge espellere, dal sacro terreno del del Centro commerciale, studenti senza futuro, condannati ad andare in caserma.
Anche Auschwitz era una caserma. Ora, lì, lottiamo per salvare il Memoriale Italiano di Primo Levi. Anche lì l'arte è oggetto di lotte politiche e di una minaccia di spostamento, perché i dipinti creano disagio. Ma l’arte è arte proprio quando crea interrogativi, dibattito, rabbia. Il direttore di Auschwitz ha definito il Memoriale Italiano art pour l'art. La stessa definizione che Hitler e i nazisti davano dell’arte “degenerata”, cioè quella buona.
Ma eccoci qua, eterni partigiani, disposti a resistere allo spostamento dell'accademia come resistiamo allo spostamento del Memoriale Italiano. Resisteremo come gli operai di Sesto hanno resistito ai Nazisti, scioperando malgrado i rischi o come quelli poi deportati nei campi, triangoli rossi, rappresentati nelle tele del Memoriale Italiano. Non solo rifiutiamo l'idea che siano altri a decidere quale sarà il futuro dell'Accademia, ma esigiamo che si realizzi il quanto prima un concorso d'architettura internazionale, aperto, senza un Albert Speer di turno nascosto nella manica di qualche governante. Che il concorso riguardi il restauro dell'insieme del Palazzo di Brera e Citterio, l'ex chiesa di s. Carporofo e l'uso intelligente di tutti gli spazi di interstizio e di risulta, anche insoliti, cavedi, sotto-tetti, cantine. Spazi come le corti, piccole e grandi, compresa la corte centrale, come nel Louvre, potrebbero essere raffinatamente coperte e trasformati in luoghi espositivi. Si potrebbero operare annessioni (nazionalizzazione) di edifici circostanti, ora vuoti per fini speculativi o usati da banche. Tale restauro, lo esigiamo, dovrà riguardare anche l'Accademia, per renderla degna di un'istituzione di livello universitario ed europeo.
Ma abbiamo una soluzione B, molto migliore. Esigiamo infatti che si faccia uno studio di fattibilità non per un'Accademia distaccata (che toglierebbe vivibilità e mixité sociale al quartiere), bensì per per una Pinacoteca di Brera distaccata! Se la pinacoteca non ha “spazio”, che si ristrutturi prima Palazzo Citterio per poi, in un secondo momento, ravvivare un luogo di degrado e tristezza urbana in periferia o provincia. Che la Nuova Pinacoteca di Brera distaccata venga collocata a Quarto Oggiaro, in mezzo a case popolari! Ma avreste il coraggio di salvare dalla disgrazia un tale quartiere e costringere turisti a scoprirlo? Avreste il coraggio di deportare quadri secolari verso fabbriche abbandonate, luoghi di quel lavoro che ha arricchito le famiglie milanesi del Centro? Avreste il coraggio di aprire cantieri di reinserzione sociale, di ricollegamento semantico fra parti di città lacerate? Avreste il coraggio di portare luce artistica a Cormano, nel deserto semantico che è la cintura di sobborghi milanesi? Una Nuova Brera a Sesto San Giovanni, senza secondi fini, senza operazioni immobiliari occulte, senza accordi fra affaristi del mattone e progetti speculativi né fumose perequazioni? Sareste capaci di capire l'arte?
No. Perché l'arte, quella vera, può essere fatta solo da perdenti, puttane, froci, poveri disgraziati, comunisti. L’arte è popolare. È del 99%, dei lavoratori, del figlio del bottegaio. È fatta da analfabeti colti. Da amanti del sesso, del cibo, della letteratura. Da giovani e da vecchi che amano le proprie rughe. Da operai pittori; da pittori che dipingono per l'umanità nel silenzio scorbutico di un atelier che sa di acquaragia, interpretando il proprio tempo con la sensibilità dell'uccellino che, nelle miniere di carbone, avvisava gli operai di un'imminente esplosione.
Qualsiasi altra cosa non è arte, è solo decorazione e non vi sarà Führer, affarista collezionista, cordata rappresentante quell'odioso 1% che domina il mondo, che potrà mai capirla.

Gregorio Carboni Maestri. (2012). Renovation of the Accademia di Brera. Concept sketch.

Il Progetto per le acque del parco sud di Milano

2012-11-29 Guest speaker at the international convention on “Per Brera Sito UNESCO”, First international meeting on “Ancient-contemporary dialogue inside the common heritage of humanity” candidate for UNESCO chair (Milan, Accademia di Brera, 2012-11-29 – 12-01). Communication title: “Il Progetto per le acque del parco sud di Milano”. With Alix Afferni, Michele Miele and the help of Alba Deangelis, Alessandra Chiarelli, Cosetta Muggianu, Fatima Niyazbek, Giulia Bertolotti, Michela Estrafallaces)

Gregorio Carboni Maestri. (2012). Project sketch: développement of mini turbines located in the height changes of milanese canals.